Come usiamo il cervello per sentire

08.06.20

Naturalmente, abbiamo bisogno delle orecchie per catturare i suoni, ma li comprendiamo solo quando arrivano nel nostro cervello. Quindi, l’udito – e soprattutto la comprensione del parlato – è un processo cognitivo, non meccanico.

In altre parole: sentire è pensare.

Le orecchie trasmettono tutti i suoni al cervello. Non scelgono cosa inviare; di fatto, non riposano mai. Anche quando dormiamo, le nostre orecchie inviano informazioni sonore al cervello.

È il cervello, quindi, a fare il lavoro duro. Il cervello filtra i suoni irrilevanti, come quelli di altre persone che parlano al ristorante e il traffico in sottofondo. Senza che ce ne accorgiamo, il nostro cervello è costantemente al lavoro, selezionando ciò che sentiamo e decidendo quanta attenzione dare a ciascun suono.

Ma prima di prendere qualsiasi decisione, il cervello deve estrarre significato dalla moltitudine di onde sonore sovrapposte che riempiono l’aria. Prendendo i segnali sonori da entrambe le orecchie e confrontandoli, il cervello individua la fonte di suoni diversi.

Utilizziamo le informazioni sulla posizione per determinare quali parti di questa moltitudine di suoni proviene da determinati oggetti o persone. O animali: queste abilità si sono evolute durante il nostro passato primitivo, quando individuare con efficacia minacce e cibo era fondamentale per la sopravvivenza.


Una volta che il cervello ha individuato una fonte sonora, confronta i suoni con la nostra memoria. In questo modo può determinare se il suono è qualcosa che abbiamo già sentito prima e quindi già conosciamo. Allo stesso tempo, il nostro cervello a volte non trova riferimenti nella banca dati della memoria. Quindi, può aggiungere un suono nuovo, pronto per il confronto successivo. Nel frattempo, ci segnala un pericolo in caso di suoni ignoti.

Una volta che il cervello ha acquisito i dati acustici grezzi dalle orecchie e li ha trasformati in significato, è in grado di estrarre più informazioni sull’ambiente circostante. Dal tempo che trascorre tra il suono e l’eco, e dalla quantità di eco prodotta, il cervello ci dà un’idea delle dimensioni di uno spazio. Inoltre, deduciamo il tipo di superfici presenti in una stanza dal modo in cui cambiano il suono mentre rimbalza su di esse nel percorso verso le nostre orecchie.

Tutti questi calcoli hanno luogo simultaneamente nel cervello. Dal momento che è il cervello a trasformare i suoni in significato, un buon udito non dipende solo dall’emissione di suoni sufficientemente forti. Per avere un buon udito dobbiamo assicurarci che il cervello riceva tutte le informazioni acustiche di cui ha bisogno. Non deve perdersi alcune frequenze o alcuni suoni che provengono da particolari direzioni.

Se il cervello non riceve i suoni giusti con cui lavorare, serve uno sforzo intenso per estrarre significato da suoni parziali. Ogni volta che mancano dei suoni, il cervello cerca di riempire gli spazi: un processo spesso difficile ed estenuante.

 

Invece di aumentare il volume e sovraccaricare il cervello, abbiamo bisogno di aiutarlo fornendogli le condizioni di cui ha bisogno. Per estrarre il significato corretto, il cervello ha bisogno di accedere a tutto il paesaggio sonoro, in modo da potersi concentrare naturalmente sulle sorgenti sonore più rilevanti.

Gli apparecchi acustici moderni lo permettono. Grazie a processori sempre più potenti, non devono più restringere il campo sonoro quando ci si trova in ambienti rumorosi. E quando un audioprotesista specializzato adatta gli apparecchi acustici, essi possono compensare le parti mancanti del campo sonoro, in modo da ripristinare le condizioni in cui il cervello è progettato per funzionare.